Il bambino chiama la mamma e domanda: “Da dove sono venuto? Dove mi hai raccolto?”. La mamma ascolta, piange e sorride mentre stringe al petto il suo bambino: “Eri un desiderio dentro al cuore”.
(Rabindranath Tagore)
Del rapporto tra la figura materna e il bambino se ne parla tanto, da sempre: quanti libri, quanti convegni, quante parole lo hanno avvolto e, talvolta, travolto. È il legame per eccellenza e porta con sé segreti, confidenze e intimità difficili da replicare. I bambini imparano dalle loro madri non solo il modo più appropriato di comportarsi, ma anche come si entra in relazione con gli altri. Tuttavia, anche la madre apprende in questo scambio, impara a conoscere il carattere, le emozioni del suo bambino e le sue reazioni rispetto al contesto che lo circonda. Dunque in questa relazione troviamo un apprendimento unico ed irripetibile.
Tutte le prime esperienze della vita di un essere umano vengono sperimentate nella relazione con la propria madre ed una delle quali è sicuramente la scuola. Il primo contatto con la scuola contraddistingue, infatti, la prima separazione con la figura materna. È fondamentale che, a partire dalla fanciullezza, fino ad arrivare all’adolescenza, ci sia un rapporto di comunione di intenti e che scuola e famiglia si pongano obiettivi pedagogici comuni e assumano un atteggiamento coerente. Questo non sempre è riscontrabile con la realtà. Troppe volte si assiste a insegnanti e maestre che si svalutano vicendevolmente.
Quando un figlio ha disturbi dell’apprendimento o delle normali difficoltà, la mamma può facilmente cadere nel ruolo di “persecutore”, spinta dal desiderio di aiutarlo a stare al passo coi coetanei, o da una vera e propria ansia. La frustrazione di percepire il proprio bambino che fa fatica ad apprendere, e di vedere il suo malessere e il suo disagio, possono portare a perseverare fino all’accanimento per incoraggiare in ogni modo i suoi apprendimenti.
Ma, così, la relazione tra madre e bambino potrebbe danneggiarsi, i momenti di condivisione si trasformano sempre di più in esercizi e prove. Tutti gli avvenimenti quotidiani finiscono per divenire un banco di prova per gli apprendimenti. Come qualsiasi occasione che si presenta nella routine quotidiana familiare, invece di essere un momento di piacevole condivisione, di leggerezza, di scambio delle esperienze della giornata, si riduce a un estenuante terzo grado. Nella preoccupazione di non perdere tempo e di sfruttare ogni circostanza per far progredire il bambino, si rischia di richiedergli una prestazione in contesti inadeguati, nella impazienza, nella confusione, con la presenza ansiogena di altri che assistono. Un bambino con difficoltà di apprendimento (ma anche senza!) necessita in modo particolare di un ambiente organizzato, con poche distrazioni.
Senza dubbio, è bene che la mamma dia coraggio, sia presente, sfrutti anche le occasioni quotidiane per stimolare i bambini ad imparare e migliorarsi, facendo attenzione, però, a sostenere allo stesso tempo anche gli interessi spontanei del bambino, le sue passioni, gli aspetti creativi ed emotivi, i momenti da condividere con leggerezza, piacere e divertimento.
“Anche se particolarmente evidente nella prima infanzia, il comportamento di attaccamento caratterizza l’essere umano dalla culla alla tomba.”, sottoscriveva Bowlby nel 1982 e volete che questo non condizioni anche l’apprendimento?